Archive for the 'Diari di viaggio' Category

Istanbul e l’hamam

Un mese fa ero a Istanbul,  vi parlerò di questa bellissima città ma ora, vorrei ricordare brevemente la mia bellissima esperienza nell’hamam. Se ci andrete non potete rinunciarvi, se l’idea vi mette soggezione fate come me, sceglietene uno storico che inevitabilmente sarà anche turistico, così vi ritroverete tra stranieri e non vi sentirete fuor d’acqua.
Sono stata in uno dei più famosi e antichi ed è stata un’esperienza bellissima. Non ho fatto massaggi, semplicemente sono entrata e mi sono rilassata, gettandomi acqua fresca sul corpo, sudando nella sauna e godendomi un’atmosfera secolare. Molte delle altre donne presenti, alcune italiane, hanno scelto il pacchetto comprendente il lavaggio e il massaggio eseguito da simpatiche donnone in costume intero grigio. Ma la presenza delle altre non mi ha infastidito perchè lì il tempo sì ferma, il mondo resta fuori, gli uomini e quel che temiamo pensino di noi pure e resta solo il nostro corpo e la nostra mente.
Che usanza meravigliosa, peccato che noi italiani non l’abbiamo conservata.

Per quanto riguarda il mangiare senza glutine, ho brevemente cercato informazioni su internet ma non ho trovato nessun elenco di ristoranti, così come al solito mi sono munita di restaurant card in turco e mi sono trovata benissimo, ovviamente ho mangiato tantissimo riso e kebab (non quello in panino ma in spiedino)

Ad Alexander Platz NON c’era la neve…

Alex vista da Kik

Grazie a Kik per avermi prestato la sua foto di Alexander Platz che potete vedere anche qui

…ma un sole splendente e un cielo caraibico che mi hanno lasciato come souvenir una bella abbronzatura da muratore!
Di Alex che tanto mi incuriosiva dirò che effettivamente non è bella, ma non è caotica e confusionaria come ho letto da qualche parte, anzi tutt’altro, e alla fine nella sua bruttezza, ho deciso che comunque è uno dei luoghi più tipici di Berlino. Mi ci sono anche affezionata perchè il nostro Hotel si staglia sopra di essa in modo imbarazzante; se non fosse per la famosa antenna della televisione che lo supera in altezza sarebbe il palazzo più alto della zona e forse di tutta Berlino (ma forse no, considerando che geniali architetti, tra cui l’onnipresente Piano, hanno trasformato la fascia di fango che era Postdammer Platz ai tempi del muro in un nucleo di alti palazzi archittetonicamente incredibili).

Siamo andati a Berlino nel week end di Pentecoste ma questo lo abbiamo scoperto solo di lunedì quando saremmo voluti andare per negozi e alle 10 era ancora tutto chiuso. In Germania dev’essere una festività piuttosto importante e festeggiata visto che in diversi luoghi (anche all’ingresso di una sorta di centro sociale punk) ho visto cartelloni con scritte di “Happy Pentecost! :)”.
Comunque, torniamo al nostro arrivo. Già dalla metropolitana di superficie possiamo dare un’occhio al paesaggio, la periferia di Berlino è fatta di nulla. Si passa attraverso campi, campi, campi e poi casine, quache palazzo DDR e poi lo Sprea le cui rive sono abitate soprattutto da fabbriche abbandonate. Una di queste, pur essendo diroccata, è animata da una gran folla che ne riempie il cortile e ne ricopre i tetti. Stanno ballando. Ma di più non si può notare, il treno è andato oltre. Qualche giorno dopo, camminando lungo strade semideserte e viuzze nell’erba, abbiamo raggiunto la fabbrica scoprendo che parte della sabbia di Riccione è ora lì a costituire una spiaggetta improvvista dove i ragazzi si divertono a prendere il sole e a tracannare birra guardando il fiume.

Berlino è una città ricca di musei, ce ne sono di tutti i tipi, arte contemporanea, arte ellenistica, cultura ebraica, cultura nazista… ma noi, con pochi giorni a disposizione, anche se un museo lo abbiamo visitato, siamo andati per carpire qualcosa della città. E quello che ho intuito è che i berlinesi mi pare vivano davvero bene. Niente traffico, niente mezzi affollati, niente code per entrare nei locali, tante bici, tanti cani (ma nessun gatto???), uccellini disneyiani che cinguettano e mangiano direttamente dalle mani…
Così mi sono fatta l’idea che Berlino sia come un paesone ma formato metropoli, a misura d’uomo ma con spazi enormi: grandi strade e grandi spazi verdi come il famoso parco Tiergarten che fagocita cittadini di ogni tipo, dalle famiglie turche a quelle ariane, dalla single in topless, allo sportivo con cane, al punkettone con famiglia.
Un’altra cosa mi ha colpito e che credo rappresenti bene lo spirito della città: l’ingresso della metropolitana. Ho visto diverse metropolitane ma nessuna senza alcuna barriera, senza tornelli da superare. A Berlino sì. A Berlino si possono permettere di gestire bene le linee di metropolitana senza mettere controlli all’ingresso. I casi sono due, o la maggior parte dei berlinesi è davvero onesta oppure se ti beccano in metropolitana senza biglietto sei finito, devi vendere la casa, l’auto e lavorare a vita per pagare la multa.

Girando per i diversi quartieri della città ho cercare di immaginare il grande assente, il muro. Ora del muro resta poco, come è giusto che sia, chi ci pensava quel novembre a preservare qualche pezzo per i turisti di oggi, si pensava solo a cancellare quell’assurdità.
Però tracce del muro l’occhio attento le trova, a volte manifestate apertamente attraverso cartelli di foto d’epoca e pezzi ricollocati successivamente, a volte volutamente rese note, come la East Wall Gallery, piuttosto squallida (come pure terribile è la ricostruzione di Check Point Charlie), a volte piccoli tratti, ormai parte integrante della nuova urbanistica e difficilmente appariscenti.

Sono passati venti anni da quando la Germania è tornata ad essere unita e Berlino una sola, certamemente i primi anni dopo la caduta del muro visitarla doveva essere davvero un’esperienza particolare e a suo modo dolorosa, Berlino, tra l’altro, ha subito pesanti bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e ha impiegato decenni per curare le sue ferite. Oggi che la ricostruzione ha saldato i due settori, Berlino resta comunque, almeno rispetto ad altre città tedesche che ho visitato, un mondo a se stante, dove pare, tra l’altro, che la vita artistica e culturale sia molto viva e creativa. Purtroppo cinque giorni non portano a conoscere una città, ma io sono tornata a casa con l’idea che sia una città dove è bello vivere.

Berlino senza glutine – Non ho molto da dirvi se non di armarvi di foglietto con le traduzioni in tedesco (dal sito già citato e riportato nella colonna dai link qui a destra) e di non fatevi problema a mostrarlo ovunque. Oltre a quello scegliete piatti “sicuri” (carne e pesce, frutta e verdura) ed evitate salse, ma quello già lo sapete. Io ho mangiato in una birreria un ottimo stinco con patate e un filetto in una steak house dove, tra l’altro, appena la cameriera ha visto il foglietto ha capito di che si trattava, evidentemente non ero la prima. Ho cenato anche in due ristoranti etnici di riferimento orientale, tagliolini di riso con pollo e verdure e riso al curry (pollo, verdure e spezie) ed è andato tutto bene. Comunque in rete ho trovato su vari siti questo elenco di locali berlinesi che forniscono menu per celiaci, io però non ho avuto occasione di andarci.

Visto che tanti mi scrivono per chiedermi come fare quando vanno in giro vi racconto come faccio io. Ovviamente parlo di vacanze brevi, di massimo una quindicina di giorni. Io mi porto sempre biscotti e brioche per la prima colazione che vado a fare in locali come Starbucks (santo!). Con una colazione così abbondante spesso non è nemmeno necessario pranzare (così risparmio soldi e tempo) e comunque mi porto dei cracker o pizzette sottovuoto nel caso venga colta da fame mentre sono in giro. La sera utilizzo il sacro fogliettino e scelgo locali non troppo particolari dove valuto di poter trovare piatti “semplici”. Comunque nella mia valigia, oltre ai farmaci consueti, non mancano mai due confezioni di Dissenten, che non si sa mai!

Pronti per Berlino

Finalmente è giunta l’ora di un nuovo viaggetto mordi e fuggi, un fast trip molto adeguato ai nostri tempi, così adeguato che ormai sta passando di moda e la gente ricomincia a sognare viaggi lenti in treno, in auto, in bici … perchè il viaggio vero e proprio, si sa, non è la meta ma il percorso, geografico e interiore, che porta ad essa.
Eppure bisogna lavorare, bisogna rispettare le diretive aziendali e quindi ho solo 5 giorni per carpire qualcosa di Berlino.

Ciò che la rendeva così particolare, la diversità tra est e ovest, ogni anno che passa è sempre meno evidente; la grande opportunità di crescita e sviluppo architettonico data dal crollo del muro (intendo proprio in senso fisico) e dalla ricostruzione di Berlino est ne rende ormai difficile l’individuazione dell’origine e soprattutto ha esaltato la parte est a discapito di quella ovest, una volta considerata da noi occidentali la “vera” Berlino.

Comunque sia è una città che mi incuriosisce parecchio, anche per il fatto che praticamente tutti i nomi delle strade e delle piazze mi restano impronunciabili e irricordabili, tutte tranne lei, Alexanderplatz (ex berlino est, per intenderci, come tutto il Mitte, considerato ora il centro di Berlino), piazza, leggo, enorme e caotica, ma che era e rimane un simbolo sia per i berlinesi che per me che da piccola ho adorato il ritornello della canzone di Battiato cantata da Milva “Alexander platz” chiedendomi come cavolo fosse questa AlexanderPlatz….

The happiest place on planet Earth

 Cupcake di BabycakesNY

Mi sono chiesta cosa raccontare del mio viaggio newyorkese.
Avrei potuto cominciare con un racconto in ordine cronologico, come un diario, oppure a temi o in ordine sparso invece ho deciso di parlare di un luogo che per me rappresenta, parafrasando il locale di Little Italy che recita “The best cannoli of Planet Earth”, per me rappresenta, dicevo, il posto più felice del pianeta Terra.

Parlo di un negozietto a metà strada tra la magia allegra e golosa della fabbrica di Willy Wonka, ma più piccina, e l’empatia e gentilezza del negozio di Chocolat. Aggiungete il merito morale che lì si vendano dolci bellissimi e buonissimi che possono essere mangiati anche dai più sfigati o dai più retti (leggetevi in questo celiaci, diabetici e vegani) e capirete che posto speciale sia.

Come vi avevo preannunciato, sono andata a fare colazione da Babycakes! Il negozietto è davvero piccolissimo; quando si entra, ci si trova subito di fronte alla piccola vetrinetta piena di dolci colorati e profumati. Subito dietro al bancone, il piccolo laboratorio, dove tre soavi fanciulle, in religioso silenzio e ordine, versano impasti e sfornano dolci.
Mi avvicino alla vetrinetta e, dietro di essa, un ragazzo che mi appare come un arcangelo venuto ad annunciarmi la lieta novella e cioè che posso anch’io trafogarmi di dolci senza doverli fare da me. Balbetto che vorrei mangiare dei dolci senza glutine (specificando anche senza spelt, cioè farro, perchè alcuni lo contengono) e lui gentilmente mi indica tutta una serie di cupcake e fette di torta. Sono imbarazzata dall’ampia scelta che mi si prospetta però poi, golosastra che non sono altro, punto subito un cupcake al cioccolato. Pago e lo addento seduta su uno sgabello. Scusatemi se la foto che ho messo è quella del loro sito ma in quel momento non ci pensavo proprio a fare foto, comunque, per darvi un’idea, il cupcake che ho assaggiato era come quello marrone che vedete. Che dire: divino. Soffice, cioccolatoso, tutt’altro che secco, insomma, buonissimo. Me lo gusto avidamente. La seconda scelta ricade invece su una fetta di torta Cinnamon and apples, buonissima anche quella. Mi chiedo cosa utilizzino in sostituzione degli alimenti di origine animale che i vegani non possono mangiare…
Non è come la nostra pasticceria, così complicata e sofisticata, stiamo parlando di cupcake e semplici torte, la pasticceria della nonna, quella che scalda il cuore. E infatti la bacheca appesa al muro è ricoperta di messaggi di ringraziamento sincero. Il fatto che sia gestita da giovani carini e gentili lo rende un posto veramente speciale e credo che qui in Italia, anche nell’avanzata Milano, pure abitata da diabetici, celiaci e vegani, non sarebbe la stessa cosa.

Nel frattempo, il negozio si è rimpito per la colazione domenicale (cioè sono arrivate, in ordine sparso, ben 4 persone) e io, ora che sono pienamente soddisfatta della mia pancia piena, mi ricordo della tabella di marcia. Prendo qualche fetta di torta per la colazione dei giorni dopo e, già nostalgica, esco per fare un giro nella storica Orchard Street.
Insomma, se sapete cosa vuol dire avere delle pesanti restrisizioni alimentari e finite a New York, andateci assolutamente!

Prove di dogana

Questa storia dei controlli doganali e della raccolta sui dati personali mi sta profondamente antipatica e la percepisco come molto ingiusta.

Specie quando leggo che avrò come vicino di casa Ahmadinejad, che alloggia a un isolato dal mio Hotel (ma spero se ne vada contestualmente al mio arrivo, non per altro ma non vorrei essere coinvolta in manifestazioni più o meno violente contro la sua persona).

Chissà se anche lui avrà dovuto rispondere alle domande del modulo di ingresso  (ti droghi? vuoi fare un attentato? fai parte di associazioni terroristiche?…)

Viaggiare senza glutine

A giugno di quest’anno, ho “festeggiato” i miei primi 10 anni da celiaca (cos’è la celiachia). In questo tempo ho avuto la fortuna di viaggiare molto, a memoria cito Cina, Francia, Messico, Maldive, Giappone, Inghilterra, ad esempio.
Devo dire che non mi sono mai trovata di fronte a grandi difficoltà anche se purtroppo, per non rovinarmi la vacanza ( e i villi intestinali, naturalmente), ho dovuto spesso,  a fatica,  rinunciare a molti piatti che avrei volentieri divorato (ma questo avviene spesso anche quando sono in Italia). 

In Cina e Giappone, grazie ad amicizie, mi ero dotata di una traduzione in lingua locale che spiegava efficacemente ed educatamente la mia intolleranza (se riuscirò a ritrovare le traduzioni le metterò on line, credo possano fare comodo ad altri viaggiatori con le mie stesse necessità) negli altri luoghi invece ho sfruttato quel poco di francese e inglese che so (sappiate comunque che sul sito di celiachia.it c’è il vademecum del viaggiatore celiaco che riporta, in diverse lingue, le frasi essenziali per spiegare l’intolleranza ai ristoratori esteri, lo linkerei ma la pagina al momento non è raggiungibile).

In assoluto, per ora, il luogo in cui ho avuto meno difficoltà è stato sicuramente Londra, lì basta dire che si ha la necessità di mangiare Gluten Free e capiscono subito, senza dover scendere in spiegazioni (devo dire che la stessa cosa mi è capitata a Vulcano, sulle isole Eolie, probabilmente la diffusione della celiachia e il fatto che fosse località turistica ha fatto sì che i ristoratori locali fossero perfettamente a conoscenza del problema, ma di questo parlerò quando vi racconterò delle Eolie).

Ora che devo andare a New York, come sempre prima di partire per un paese occidentale dove so che la celiachia è conosciuta, ho cercato su internet una lista di ristoranti e locali “Gluten Free” oriented. Leggendo qua e là ho trovato parecchi locali che garantiscono un menu senza glutine, molti, curiosamente, di cucina italiana. Di sicuro andrò a testarne qualcuno. Per il momento però, per aumentare la mia trepitante attesa della partenza, passo le giornate sbavando su questa pasticceria . Immaginatemi un po’ come il femminile di Homer Simpson di fronte alle ciambelle glassate…

Sbarco a Londra

Arrivare a Londra la prima volta mi ha fatto uno strano effetto, l’effetto di non farmi effetto. Di solito quando si arriva in una città straniera ci si sente fuori luogo, si osserva la gente e si avverte la sua diversità nazionale, ci si emoziona di paesaggi mai visti o di paesaggi visti ma mai conosciuti e ci si ritrova a guardare il mondo esterno con occhio sconosciuto.Taxi londinesi

Sarà per il fatto che l’inglese è una lingua ormai familiare, sarà per il fatto che ormai le mode e i relativi suoi spacci, negozi e ristoranti, sono un po’ uguali in ogni metropolitana del mondo, ma io, arrivata a Londra, mi sono sentita a casa, senza senso di estraneità, senza disagio. La spiegazione probabilmente si trova nel fatto che Londra è, oggi più che mai, un porto del mondo (come non potrebbe esserlo visto che è la più grande capitale coloniale del mondo); nessuno è straniero a Londra, o, se si preferisce, lo si è tutti.
Il solo camminarci mi fa sentire un pò londinese anche se di Londra non so un bel nulla.

C’è un bel cielo turchese al nostro arrivo, e tanto vento che mi riporta ai ricordi della mia  Dublino. Le nuvole corrono in cielo, ma non fa freddo. C’è una temperatura  perfetta in questo inizio di maggio.

Dove si va?

Dopo poche inspirazioni di aria british, ci coglie un forte pizzicore al naso, come se il vento disperdesse nell’aria fine polvere di pepe, e cominciamo a starnutire interrottamente. Non succede a nessun altro, solo a noi appena sbarcati. Per un attimo mi illudo possa essere la versione realistica del Babel Fish di Adams, come delle pulcette traduttrici che dal naso entrano nel chiocciola dell’orecchio permettendomi di capire e parlere perfettamente inglese. Purtroppo non è così, capisco subito che dovrò continuare a comunicare ricorrendo come sempre alle mie frasi di sopravvivenza e alla mia grande, italica gestualità.

Fazzoletto al naso, starnutendo imperterriti, iniziamo la nostra breve esplorazione.

Londra: Libri nello zaino

 

Se, come me, trovate molto gustoso assaporare l’atmosfera e la mentalità del luogo in cui andrete attraverso la lettura di libri che lo riguardano vi consiglio per Londra questi due:

  •  Londra immaginata di Anna Quindlen, della collana Luoghi d’Autore di Feltrinelli e
  •  Il treno per Babylon. Giro del mondo in Underground dell’italiano Alex Roggero collana Feltrinelli Traveller.

Il primo libro, apprezzabile soprattutto dagli amanti della letteratura inglese ma interessante e di piacevole lettura per tutti, ripercorre Londra alla ricerca di quelle atmosfere che i grandi scrittori inglesi hanno immortalato nelle loro opere. Quanto di Londra ci hanno comunicato i romanzi in essa ambienti? Anna Quindlen ricerca la sua Londra immaginata nella Londra degli anni 2000 “Non ci potrebbe essere città migliore per ambientarci un romanzo. Dopo che il grande incendio devastò quasi tutta la città, Christopher Wren propose che si ricostruisse secondo un modello più razionale. Ciò avrebbe reso Londra immensamente più facile da girare e le avrebbe conferito un assetto più schematico che ancora oggi non ha e che non ha mai avuto. Grazie a Dio la proposta fu presa in considerazione, ma anche respinta. La città che risorse dalle ceneri dell’incendio seguì lo stesso schema insensato di viottoli di campagna, di salite e di discese che l’avevano contraddistinta in precedenza. E si riaffermò dunque come una sorta di misterioso labirinto che ha un effetto irresistibile su una mente fantasiosa”. Il treno per Babylon invece ha per protagonista the Tube e il variegato mondo che si snoda attorno alle sue linee. Un libro ricco di storia e informazioni ma prezioso soprattutto perché aiuta a cogliere  il vero spirito di una Londra cosmopolita e multiculturale. Non riporto qui citazioni perchè avrò modo di citarvelo spesso nei miei post sul Londra.  

 


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